Dossier “Il costo della ripubblicizzazione del servizio idrico integrato” elaborato con il contributo di Altreconomia.
La proposta di legge “Disposizioni in materia di gestione pubblica e partecipativa del ciclo integrale delle acque” è alla sua la terza legislatura di “gestazione”. Infatti, questo testo nasce dalla legge di iniziativa popolare presentata nel 2007 dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua col sostegno di oltre 400mila cittadini.
La posta in gioco è alta e ha infatti scatenato le reazioni scomposte di chi ha interesse a che l’acqua resti sul mercato. Questa legge rappresenta una radicale inversione di tendenza: una gestione del servizio interamente pubblica, partecipativa, ambientalmente sostenibile, con tariffe eque per tutti i cittadini, che garantisca gli investimenti fuori da qualsiasi logica di profitto e i diritti dei lavoratori.
Ecco, dunque, spiegato l’accanimento con cui il fronte dei gestori, e non solo, ha costruito una narrazione allarmistica e distorta, rilanciata da alcune forze politiche.
Va ribadita l’assoluta inattendibilità della tesi per cui la ri-pubblicizzazione del servizio idrico, nucleo centrale della proposta di legge, comporterebbe un esborso una tantum di oltre 20 miliardi di euro, di cui i cosiddetti “indennizzi” ai gestori uscenti e il rimborso dei finanziamenti già contratti ne sarebbero le voci maggiori. Tesi portata avanti sia dalla società Ref Ricerche sia da Oxera, società di consulenza economica a cui si è rivolta Utilitalia (federazione che riunisce anche le aziende operanti nei servizi pubblici dell’acqua).
Come mostriamo in questo dossier numeri alla mano, il rimborso dell’attuale stock di debito non ha alcuna ragione di essere per una semplice modifica delle forme di gestione, a meno che non ci sia una volontà di “sciopero politico” da parte degli istituti di credito e di grandi soggetti investitori.
In realtà il costo una tantum per la ri-pubblicizzazione del servizio idrico è sostanzialmente quello relativo alla riacquisizione delle quote societarie detenute da soggetti privati che, come riportato nel presente dossier, vale tra 1 e 1,5 miliardi di euro.
Un esborso una tantum assolutamente aggredibile, soprattutto nel caso, da noi ipotizzato, di intervento della Cassa depositi e prestiti che, per dare un’idea, ha distribuito dividendi nel 2018 per circa 1,34 miliardi di euro (nel 2017 essi ammontavano a circa 1 miliardo e nel 2016 a
850 milioni di euro) e che ha recentemente presentato un piano industriale per gli anni 20192021 pari a circa 200 miliardi di euro, di cui 25 a favore degli Enti locali per finanziare investimenti in infrastrutture.
Inoltre, indicare i circa 2,5 miliardi di euro di investimenti annui come un “costo” legato all’approvazione della legge è non solo una mistificazione, ma anche un’evidente ammissione del fatto che i gestori non abbiano intenzione di farli. Motivo che dimostra l’esigenza di un cambio di gestione.
D’altra parte, gli ultimi dati Istat disponibili sulle perdite delle reti idriche sono impietosi: nel 2015 si attestano al 41,4% a livello nazionale (47,9% il tasso di “dispersione” fotografato nel 2019). È evidente che più che allo stato delle reti, si è guardato all’andamento delle azioni. Assume poi contorni da terrorismo mediatico l’affermazione secondo cui l’approvazione di questa legge porterà ad un aumento delle tariffe tra il 10 e il 15%.
Avverrà, piuttosto, il contrario essendo finalmente eliminata la possibilità di continuare a inserire in tariffa qualsiasi voce riconducibile al profitto, oltre a venir meno le condizioni per la distribuzione di utili agli azionisti. In merito, basti pensare che le cosiddette “quattro grandi sorelle dell’acqua” – IREN, ACEA, A2A e HERA – dal 2010 al 2016 hanno distribuito dividendi per quasi 3 miliardi di euro per cui, considerando che il servizio idrico è circa il 25% delle attività svolte dalle multiutility, la ri-pubblicizzazione porterebbe a un beneficio di circa 750 milioni di euro nei prossimi sette anni e dunque consentirebbe di ripagare la ri-pubblicizzazione in soli tre anni.
In ultimo, come non ricordare che l’approvazione di tale legge collocherebbe il nostro Paese in linea con l’attuale tendenza globale. Negli ultimi 15 anni i casi di ri-pubblicizzazione sono stati oltre 235 in 37 Paesi, di cui circa 130 in Europa.
Del resto l’esempio della ri-pubblicizzazione a Parigi ha portato ad un aumento degli investimenti e a una diminuzione delle tariffe. Perché non seguire questa strada?
D’altra parte è evidente come contro l’acqua pubblica si sia formato un unico grande fronte, su ispirazione delle multinazionali dell’acqua, che mette insieme Lega, Partito democratico, Forza Italia, Fratelli d’Italia, e in cui rischia di rientrare anche il M5s visto che diversi deputati hanno depositato emendamenti che puntano a stravolgere principi e impianto della legge.
Fuori dalle aule parlamentari prosegue il massacro mediatico da parte dei maggiori organi di informazione, che disegnano uno scenario apocalittico nel caso in cui venisse approvata la legge. Scenari, come abbiamo avuto modo di segnalare, destituiti di ogni fondamento, allo scopo di spaventare l’opinione pubblica e stravolgere la verità dei fatti, completamente smentiti da questo dossier. Nonostante gli annunci, il percorso della legge sembra completamente arenato: la relazione chiesta al Governo ancora non è arrivata, fornendo un alibi perfetto a maggioranza e opposizione per non procedere all’esame della legge e l’approdo della discussione in aula alla Camera è slittato ancora una volta a dopo le elezioni europee.
È esattamente in questo contesto che il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, con il contributo di Altreconomia, ha deciso di diffondere il presente dossier da cui si evince che i costi della ri-pubblicizzazione sono assolutamente accessibili e contenuti.
Paolo Carsetti, Forum italiano dei movimenti per l’acqua (acquabenecomune.org)
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